Big Tech sotto accusa: il prezzo nascosto dei nostri dati personali vale 1 miliardo di euro

Big Tech sotto accusa: il prezzo nascosto dei nostri dati personali vale 1 miliardo di euro

Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Reuters, l’Agenzia delle Entrate ha introdotto un’azione nei confronti di Meta, LinkedIn e X. Si tratta di un’iniziativa che segna un potenziale punto di svolta nel dibattito sulla monetizzazione dei dati personali.

L’amministrazione finanziaria italiana ha infatti cristallizzato il principio secondo cui i dati personali forniti dagli utenti in cambio dell’accesso ai servizi delle piattaforme social rappresentano una controprestazione economica, soggetta all’applicazione dell’IVA secondo il Testo Unico IVA (DPR 633/1972).

La base giuridica del fisco italiano si fonda sull’idea che i dati personali siano un bene immateriale dotato di valore economico concreto.

Il tema si inserisce in un contesto estremamente delicato, anche alla luce delle tensioni commerciali tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti. Eppure l’Italia non ha esitato: le somme richieste – 887,6 milioni a Meta, 140 milioni a LinkedIn e 12,5 milioni a X – dimostrano la portata economica del fenomeno.

E’ di tutta evidenza che l’impostazione dell’Agenzia delle Entrate, al di là delle ripercussioni politiche internazionali, abbia importanti implicazioni sia sul piano fiscale che su quello della tutela del dato personale.

Sul versante fiscale, si afferma che la cessione dei dati personali configuri una transazione economicamente rilevante, assoggettabile all’IVA come qualunque altra prestazione di servizi. In discussione è, quindi, il modello industriale basato sull’apparente gratuità dei servizi digitali, ovvero lo schema “dati in cambio del servizio”, che mette in crisi la tradizionale nozione di corrispettivo.

Sul fronte della protezione dei dati personali, la citata impostazione mette in luce come il modello di business delle piattaforme digitali sia fondato su uno scambio che non sempre avviene in maniera pienamente consapevole e trasparente: servizi gratuiti solo in apparenza, in cambio di una mole di informazioni personali successivamente monetizzate attraverso attività di profilazione e pubblicità mirata.

A ciò aggiungo una mia ulteriore riflessione. L’impatto potenziale della citata impostazione potrebbe estendersi a una vasta platea di soggetti che offrono accesso ai propri servizi online subordinatamente all’accettazione dei cookie di profilazione. È lecito domandarsi se – per coerenza – non dovrebbero essere avviati numerosi procedimenti analoghi nei confronti di tutte le realtà che hanno fondato i propri modelli commerciali sulla patrimonializzazione del dato personale.

La posizione dell’Agenzia delle Entrate, a mio avviso, solleva una serie di interrogativi.

Gli utenti sono davvero consapevoli del valore economico dei dati personali che cedono?

È accettabile che le informazioni personali diventino una vera e propria merce di scambio, alla luce del fatto che la protezione dei dati è un diritto fondamentale, autonomamente tutelato?

Come garantire un equilibrio tra innovazione digitale e tutela dei dati personali?

di ciò si prospetta un possibile ripensamento del modello di business dell’intero settore tecnologico ed in generale chi cede i servizi in cambio dei dati personali?

In ragione delle esposte considerazioni, è verosimile ipotizzare un ripensamento complessivo del modello di business dell’intero ecosistema digitale, e in generale di tutti quei soggetti che offrono servizi “gratuiti” in cambio della cessione – più o meno consapevole – dei dati personali degli utenti?

Avv. Simona Maruccio

simona@maruccio.it

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