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Il Tribunale ha affermato in modo chiaro e inequivocabile che SMS e messaggi WhatsApp, se riferiti ad attività istituzionali, devono essere considerati documenti ufficiali e, in quanto tali, soggetti agli obblighi di conservazione e di accessibilità previsti dalla normativa europea sulla trasparenza. Non si tratta di un’interpretazione astratta, ma di una pronuncia concreta, originata dalla richiesta di accesso agli scambi di messaggi tra la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e l’amministratore delegato di Pfizer durante le trattative sull’acquisto dei vaccini anti-Covid.
La Commissione, dinanzi a tale istanza, aveva negato l’esistenza di messaggi come documenti accessibili, sostenendo la loro natura informale. Il Tribunale UE ha annullato la decisione, imponendo all’amministrazione europea l’obbligo di fornire spiegazioni verificabili e circostanziate sulla ricerca, l’eventuale conservazione e la tracciabilità delle comunicazioni digitali.
In parallelo, la giurisprudenza italiana, con particolare riferimento alla Corte di Cassazione, ha delineato una tutela della corrispondenza privata digitale, riconoscendo alle chat WhatsApp la protezione costituzionale prevista dagli articoli 14 e 15. Tuttavia, qualora tali comunicazioni siano prodotte o ricevute nell’ambito dell’attività istituzionale – a mente della richiamata sentenza – prevalgono i principi di trasparenza e diritto di accesso, sempre nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali.
Come reagiranno i Paesi membri alla pronuncia del Tribunale UE?
Gli Stati membri dell’Unione Europea saranno inevitabilmente chiamati a rivedere le proprie regole in materia di gestione documentale, aggiornando le definizioni e le prassi per includere formalmente le comunicazioni digitali – quali SMS, WhatsApp o strumenti simili – tra i documenti amministrativi soggetti a conservazione e accesso.
Ciò comporterà una duplice esigenza: da un lato, l’adozione di piattaforme ufficiali e certificate per la messaggistica istituzionale, in grado di garantire tracciabilità, integrità e archiviazione sicura dei contenuti; dall’altro, l’adeguamento giurisprudenziale e normativo interno, al fine di assicurare una lettura uniforme e coerente del principio affermato a livello europeo.
Osservo, a conclusione del mio contributo, che la pronuncia del Tribunale UE segna un passaggio coerente con i cambiamenti tecnologici e con le aspettative di un controllo pubblico sempre più consapevole. Le comunicazioni digitali non possono più essere considerate “informali” per sfuggire agli obblighi documentali: sono parte integrante dell’azione amministrativa e, come tali, devono essere trattate.
Avv. Simona Maruccio
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